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Carissime e carissimi tutti,

vorrei soffermarmi questa volta con voi sull'importanza di camminare insieme sulla via dell'Amore alimentando la reciproca comunione attraverso i mezzi di comunicazione sociale più rapidi ed efficaci.

Percorrendo una strada di santità comunitaria ci sentiamo, infatti, chiamati a essere una sola e medesima famiglia unita da vincoli superiori a quelli della famiglia naturale, così è l'unità in Cristo Signore che andiamo sperimentando.

Sentiamo, infatti, che pur essendo molti, siamo un sol corpo. L'aggiornamento vicendevole ci rende partecipi della vita di tutti e di ciascuno; le esperienze di vita raccontate e accolte con amore ci nutrono e spronano nella nostra crescita umana e spirituale.

 

Se ci impegniamo insieme ad altri in un cammino di vita cristiana amandoci scambievolmente, costituiremo ben presto una comunità illuminata dalla presenza di Gesù, che ha promesso di essere presente là dove due o più sono uniti nel suo nome (cfr. Mt 18,20). Comunicarsi a vicenda le esperienze vissute, le gioie, i dolori, le prove, servirà allora a crescere come corpo in unità fra noi. Sperimenteremo così la bellezza della comunione trinitaria, com'è possibile viverla quaggiù, «come in cielo così in terra» (Mt 6,10c). La vita della Trinità è, infatti, comunicazione perenne, dinamismo relazionale sempre in atto in un'eterna novità.

Come scrivo in un mio diario:

“Per me comunicare è parte integrante dell'Amore. Come ogni giorno ho bisogno di mangiare, di dormire… di nutrirmi dell'Eucarestia, così debbo anche quotidianamente vivere la comunione concreta con qualcuno, donando la mia esperienza di vita o attraverso un incontro, o una lettera, o una telefonata… La mia vita, la mia esperienza di Dio deve entrare in circolo nel Corpo mistico sia a livello dell'essere, sia della comunicazione verbale, perché non sono un puro spirito, ma una creatura umana. Nella Trinità tutto circola. Anche noi dobbiamo vivere “in Trinità”[1], costituendo ogni giorno delle “Trinità concrete”[2] con i fratelli e le sorelle che Dio ci dà, questi ultimi diventano così la porta d'entrata nel Corpo mistico totale. La comunione è la mia natura e la mia grazia”.[3]

L'unità con coloro con cui si condivide il cammino della vita si approfondisce, infatti, attraverso lo scambio delle notizie e delle esperienze di vita, in quest'ottica comunicare non è informare, ma edificare la comunione, utilizzando per questo anche tutti i mezzi di comunicazione sociale a servizio dell'amore.

Ascoltare le esperienze degli altri per imparare da ciascuno ci fa camminare insieme sulla via della santità, diventando sempre più un cuor solo e un'anima sola. Ovunque siamo, vicini o lontani, dobbiamo sentirci una cosa sola fra noi, per questo le notizie devono circolare con rapidità perché tutti partecipino della vita di tutti.

La corrispondenza di vario tipo e le varie testimonianze di vita alimentano le relazioni fra noi. Tale aggiornamento reciproco è, certamente, uno dei mezzi più importanti per custodire ed alimentare l'unità fra noi; tutto deve essere comunicato e tutti debbono essere resi partecipi. Per aggiornamento intendo proprio la comunicazione delle esperienze e delle notizie all'interno della comunità unita nel nome di Gesù.

Conoscere fatti concreti e avvenimenti, scrivere e informare di quanto si è vissuto ci permette inoltre di metterci fin da ora in comunione con quelli che verranno dopo di noi attraverso scritti che diventeranno storia. Anche gli archivi sono un mezzo di comunicazione fra il passato e il futuro.

La circolazione delle esperienze vissute ci sprona e ci cementa fra noi, mettendoci in comunione anche con coloro che nasceranno e che potranno trarre giovamento dalle nostre testimonianze di vita. A questo scopo sarà utile utilizzare i più moderni mezzi di comunicazione.

È ovvio che aggiornare del nostro vissuto chi non ascolta con interesse e amore è un'imprudenza. Si può comunicare tutto solo all'interno di autentici rapporti di comunione, diversamente si deve salvaguardare la discrezione, tenendo il riserbo su ciò che è bene non far conoscere.

Tutto deve circolare senza, però, dare mai le perle ai cani come dice il Vangelo      (cfr. Mt 7,6).

Nell'aggiornamento è anche importante essere sintetici, senza perdersi in inutili particolari, cercando di discernere le notizie più importanti da evidenziare.

In ogni caso solo donando agli altri la propria vita spirituale si resta fecondi e aperti all'Amore.

L'amore reciproco ci porta a rendere gli altri partecipi della nostra vita personale, delle nostre sofferenze, delle lotte, delle prove superate, delle fatiche, del lavoro, delle nostre esperienze interiori. La comunicazione è reciproca: è l'incontro del dare e del ricevere.

Lettere, giornali, telefonate, computer sono tutti mezzi da usare per alimentare la vita di Dio fra noi. Se gli apostoli e i primi cristiani non avessero scritto tante lettere, non ci avrebbero tramandato la loro fede e non conosceremmo oggi le nostre radici. Anche noi oggi, come allora, siamo chiamati a vivere la mutua e continua carità (cfr. Fil 2,2) che ci fa essere un cuor solo e un'anima sola (cfr. At 4,32).

Dobbiamo imparare a condividere fra noi le gioie, i dolori, le notizie belle e brutte, le prove e le conquiste, in tal modo l'esempio degli altri ci sprona e ci incoraggia, l'unità sarà così la grazia che ci sosterrà nel cammino della vita e ci farà sentire, anche se molti, «un solo corpo» (Rom 12,15).

A conclusione, giungono a proposito le parole di un mio canto.

 

Comunicare per solo amore,

non è informare

è camminare insieme, in Dio,

come famiglia del Bell'Amore.

 Fax, telefono, social network

son solo mezzi di comunione

se il messaggio del Bell'Amore

a tutti sempre vogliam portare.

 Tutti un solo corpo farà l'Amore,

se ogni cosa circolerà:

ciò che si ha, ciò che si è,

ciò che si vive, ciò che si spera.

 Ogni esperienza di Dio Amore

comunicata a chi Dio ci dà

potrà unirci sempre di più

in armoniosa comunione.

 

sr. Nunziella

 

 

[1] In comunione o, per così dire, “in Trinità”.

[2] Delle cellule vive del Corpo mistico, quasi “Trinità concrete”.

[3] Diario, Ottawa, 25 maggio 1993.

Carissime e carissimi tutti,

siamo giunti a trattare un aspetto concreto dell’amore che potrebbe non essere considerato retaggio di tutti, dai più poveri ai più ricchi. È invece, a mio avviso, una dimensione importante della nostra vita cristiana, se vogliamo maturare nella nostra fede e nel nostro impegno professionale e lavorativo, mettendolo a servizio dell’amore. Sarà importante per fare questo valutare lo stretto rapporto che la formazione e lo studio hanno con la sapienza che viene da Dio.

Assetata di verità, ho fin da giovane studiato filosofia per ricercare quel che è possibile esplorare sul mistero di Dio e della persona umana, più tardi ho sperimentato una luce interiore che mi ha illuminata e guidata sul cammino della sapienza e ho constatato con chiarezza che nel pensiero umano posso incontrare cose vere, ma non la Verità che è Dio stesso, questo incontro è dono di grazia che ordina la vita.

Nella comunione vissuta con coloro che Dio mi ha dato ho poi fatto l’esperienza della presenza di Gesù, sapienza viva e operante nella comunità unita nel suo nome.

Il Verbo incarnato è, come dice san Paolo, «sapienza di Dio» (1Cor 1,24), Cristo crocifisso e abbandonato è la rivelazione del mistero trinitario, è la Sapienza stessa.

Non c’è, allora, conoscenza umana che non debba essere informata dalla sapienza che viene da Dio, se non vuole dissolversi in vana erudizione.

La ricerca della vera sapienza coincide col vivere in profonda comunione con gli altri, con la Chiesa tutta, con l’umanità intera, sapendo amare fino a donarsi interamente come Gesù crocifisso, che nel suo abbandono, ha fatto persino l’esperienza di perdere Dio, per renderci partecipi della vita divina, per farci figli di Dio.

Alla luce di quanto ho detto, possiamo comprendere l’importanza dello studio, di qualunque forma di apprendimento del sapere umano, se ordinato a condurci alla sapienza, a una sempre più profonda conoscenza di Dio, a un amore sempre più maturo nei riguardi di Dio e degli altri. Questo non vale soltanto per gli studi catechetici e teologici, ma anche per tutte le altre discipline, perché ogni campo del sapere umano contiene e riflette la bellezza del mistero di Dio e della creazione tutta intera.

Teologia, medicina, letteratura, scienze, arte, informatica… tutto serve a comprendere meglio la realtà in cui viviamo e l’eterno principio, da cui tutto proviene: Dio stesso. Una conoscenza umana più profonda ci rende più capaci di vivere in relazione con Dio, con noi stessi, con gli altri, col creato.

Non mi riferisco soltanto all’uno o l’altro studio specifico per conseguire dei titoli e prepararsi a svolgere una professione, ma anche allo studio inteso come dimensione della vita cristiana, a cui dedicare costantemente del tempo, nelle varie fasi della nostra esistenza, per approfondire la conoscenza di Dio e amarlo di più, per approfondire la comprensione della persona umana in tutti i suoi aspetti e della creazione in tutte le sue componenti, per amare di più il nostro prossimo e custodire responsabilmente il creato, nostra casa comune.

Potremmo dire che la comunione con Dio ci spinge anche a studiare e lo studio ci porta alla comunione con Dio, «chi non ama non ha conosciuto Dio» (1Gv 4,8).

Anche i teologi, se non amano Dio, non lo conoscono. Lo studio fatto per se stessi, non informato dalla Sapienza, può allontanare da Dio e dagli altri.

È, inoltre, molto utile per chi ne ha la possibilità, confrontare con altri, che abbiano il suo stesso amore per la verità, le nozioni apprese attraverso lo studio, per cogliere in ogni apprendimento la linea d’oro della sapienza che è sottesa a tutto il sapere umano.

Gesù fra noi presente nella comunione vissuta è la Sapienza stessa, facciamo in modo di accoglierla in noi con fedeltà e amore, anche lo studio farà allora da supporto a quanto sperimentiamo o intuiamo nel vissuto quotidiano.

L’amore a Gesù e, in modo particolare, a Gesù crocifisso e abbandonato è, allora, per noi fonte di sapienza.

Tale sapienza deve informare la nostra vita e il nostro pensare, la cui caratteristica principale dovrebbe essere la dimensione comunionale, la capacità cioè di pensare insieme, di dialogare, di mettere in relazione le varie discipline del sapere. L’amore scambievole, l’unità in Cristo è il fondamento e il contenuto della vera sapienza che abbraccia tutti i campi del sapere umano; dobbiamo saper dialogare insieme per giungere a un unico pensiero su ogni cosa, pur con la ricchezza delle varie sfaccettature che ognuno apporta; in tal modo, come dice san Paolo giungiamo ad avere «il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16) su ogni cosa.

In quest’ottica lo studio è la strada e lo strumento per giungere a scoprire la sapienza in ogni ambito della realtà.

Ricordo che, in un periodo particolare della mia vita, dopo aver studiato per anni filosofia, mi sono ritrovata, non senza il concorso di una grazia, a sperimentare una sorta di luce interiore che illuminava in modo nuovo quanto avevo appreso sui libri in tanti anni di studio. Ho, allora, visto, con sguardo rinnovato, le stesse cose che prima avevo studiato; potrei dire che in tal modo il sapere ha fatto da sostegno alla sapienza.

È questo il significato di qualunque studio, che non sia pura cultura o erudizione.

Noi dobbiamo studiare, così come dobbiamo fare qualunque altra cosa, per fare cioè la volontà di Dio, senza attaccamenti particolari neanche allo studio, perché in tutti e attraverso tutto è solo l’amore che dobbiamo cercare, è solo l’amore che ci realizza come persone e come cristiani; lo studio, tutt’al più, ci serve per maturare e far crescere questo amore.

È ovvio che per un cristiano sia indispensabile avere prima di tutto una adeguata istruzione catechetica per poi passare, secondo le possibilità di ciascuno, a un eventuale approfondimento teologico della fede; per tutti è poi importante la formazione umana e professionale per intraprendere e portare avanti il proprio lavoro. Anche gli studi professionali, però, non devono allontanarci dalla vera sapienza, che è sempre a servizio dell’amore e non è mai prurito di sapere per affermare noi stessi.

Anche il sapersi aggiornare nel proprio campo specifico per svolgere meglio il proprio lavoro deve essere fatto con spirito evangelico senza carrierismo o vana gloria.

Quelli che sono poi chiamati, per vocazione o per ministero, a svolgere particolari servizi nella Chiesa potranno trovarsi a studiare teologia per sostenere meglio la loro vita d’impegno cristiano; sarà anche importante non trascurare gli insegnamenti del Magistero.

Se mi è permesso concludere con un’esperienza personale, voglio qui menzionare l’importanza dei libri e della lettura, mai del tutto sostituibile dai mezzi di comunicazione sociale, a questo scopo ho, personalmente, dato l’avvio nella Casa Madre delle Suore del Bell’Amore a una biblioteca, che va, gradualmente, crescendo e arricchendosi di vari contributi. Nella storia della Chiesa sono stati i monaci a custodire, a volte, la storia e la cultura con le loro splendide biblioteche.

A conclusione, mi sembra importante comprendere che la formazione e lo studio non dovrebbero essere retaggio di pochi, ma una dimensione della vita che tutti ci coinvolge, dallo spazzino al deputato, dal laico al sacerdote, dalla casalinga alla religiosa. Ognuno deve prodigarsi per fare sempre meglio quello che fa: il cuoco imparerà sempre meglio ciò che riguarda la cucina e le pietanze, l’insegnante approfondirà una sana pedagogia, il medico si aggiornerà sui progressi della medicina, il contadino si informerà sui nuovi ritrovati dell’agricoltura atti a coltivare meglio la terra, l’economista esplorerà i nuovi sistemi bancari; ma tutti, indistintamente, secondo le loro possibilità e competenze, non cesseranno di approfondire la conoscenza dei contenuti della loro fede e del mistero di Dio, mettendo la propria scienza umana a servizio dell’amore e della vera sapienza.

 

sr. Nunziella

Testo del Punto_luce di_novembre saricabile_2022.pdf 

Carissime e carissimi tutti,

vorrei meditare con voi su un aspetto dell’amore, da cui non possiamo prescindere se vogliamo camminare speditamente sulla “via dell’Amore”, si tratta della vita spirituale e di preghiera vista nelle sue dimensioni personale e comunitaria.

Memori delle parole di Gesù: «Dove due o più sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20), siamo chiamati a essere sempre più in comunione con Gesù in mezzo a noi e con l’intera umanità bisognosa di salvezza.

 

Vita spirituale

L’itinerario spirituale della via dell’Amore è un cammino di santità che è ad un tempo personale e comunitario, esso tende a condurre all’unione con ciascuna delle tre Persone divine, portandoci a vivere, in comunione con Maria, la relazione con Dio-Trinità non solo come persone, ma anche come comunità, come Chiesa viva.

Amare Dio, facendo la sua volontà, deve essere l’asse portante della nostra vita.

Alla scuola del Vangelo impariamo ad entrare in comunione con Dio, fra noi e con gli altri.

L’impegno a vivere il comandamento dell’amore scambievole datoci da Gesù ci fa uno fra noi in lui; la condivisione delle esperienze sulla Parola di Dio alimenta e approfondisce questa unità, operando una continua conversione personale e comunitaria.

La comunicazione delle luci e delle intuizioni avute sulla Parola di Dio, l’ascolto reciproco, la comunione d’anima ci danno una nuova comprensione del Vangelo, focalizzandoci sempre più sulla presenza di Gesù in mezzo a noi quando siamo uniti nel suo nome (cfr. Mt 18,20).

Non è poi possibile camminare sulla via della santità senza imbatterci nella realtà della sofferenza, come afferma Gesù nel Vangelo: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23).

Gesù stesso, sulla croce, ha assunto su di sé ogni nostro dolore e peccato, fino a fare l’esperienza di sentirsi abbandonato dal Padre; vivere, allora, ogni nostra sofferenza unendola alla sua passione trasforma ogni nostra prova in passaggio pasquale.

Impariamo, così, a fare la scelta di Gesù crocifisso e abbandonato, vivo e presente sia nelle piaghe della Chiesa e della società di oggi, sia nei nostri limiti personali e nelle nostre stesse infedeltà a lui.

La Vergine Madre ci indica la via, anzi si fa via per noi e impariamo a guardare la Chiesa e il mondo con gli occhi di Maria che non ha lasciato solo Gesù, sul Calvario; con lei e in lei siamo chiamati a riconoscere e amare Gesù presente in ogni dolore nostro, degli altri e dell’intera umanità; in comunione con lei amiamo ogni prossimo che incontriamo con un cuore di madre, col suo cuore, vedendo in ognuno Gesù stesso, il Figlio unico.

L’amore agli altri e fra noi, allora, lungi dall’allontanarci o dal distrarci dall’unione con Dio, approfondisce la nostra vita di preghiera, la cui meta non è solo il nostro personale rapporto con Dio dentro di noi, ma anche con Gesù fra noi riuniti nel suo nome. Lo Spirito Santo opera in noi e fra noi, santificandoci personalmente e insieme.

L’esperienza della mutua continua carità (cfr 1Pt 4,8) ci fa istaurare fra noi un rapporto trinitario, in forza del quale ci amiamo, in qualche modo, come il Padre e il Figlio nello Spirito Santo.

 

 

Vita di preghiera

La scelta dell’Amore come principio, fine e mezzo di ogni azione dà alla nostra vita una connotazione contemplativa, comunionale e apostolica.

Il «pregate incessantemente» (1Ts 5,17) evangelico è luce e meta sempre da perseguire, nella fedeltà a Dio e alla sua grazia. Il Vangelo ci mostra spesso Gesù immerso nella preghiera in un luogo appartato. Anche per noi è importante dedicare ogni giorno un certo tempo alla preghiera esplicita, la mancanza di fedeltà ad essa può condurci a vivere superficialmente.

Il rispetto di un certo ritmo di vita è fondamentale per progredire nella via dell’Amore.

L’impegno a vivere la volontà di Dio dell’attimo presente, il ricorso a piccole invocazioni, come quelle dello “yoga mariano”[1], il silenzio interiore sono tutti aiuti efficaci per un vero raccoglimento interiore, educano, infatti, a un atteggiamento di amorosa attenzione a Dio e alla sua Presenza viva e operante in noi.

Offrire a Dio ogni nostra azione, dicendo: “Per te, Gesù! Con te, Maria!” ci sprona a camminare in esplicita comunione con Gesù e Maria.

È, però, importante avere dei momenti nella giornata in cui lasciamo ogni attività e ogni occupazione interiore per raccoglierci in Dio.

Il ritmo giornaliero e settimanale può essere dato dalla preghiera del mattino e della sera, dalla meditazione e orazione personale, dal rosario, dalla Messa… Nell’arco dell’anno possiamo fissare i tempi del ritiro mensile e degli esercizi annuali.

Ciascuno ha da pregare secondo un programma di vita adatto alla propria vocazione e ai doveri del proprio stato, ma per tutti, in un modo o in un altro, si impone il dovere di pregare; per fare questo bisogna tener conto di alcune condizioni necessarie. Per prima cosa, anche se dobbiamo imparare a pregare dappertutto, ciò non toglie che lo stesso Gesù ci esorta a ritirarci in un luogo adatto: «Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,6).

Un’altra condizione per pregare bene è stare attenti alla posizione del corpo, scegliendo quella che più ci aiuta a raccoglierci, data l’inscindibile unità corpo-anima.

Fare silenzio interiormente è poi indispensabile per entrare in comunione con Dio e ascoltare la sua voce, che ci parla attraverso la nostra coscienza.

Varie possono essere le forme di preghiera: vocale, mentale, contemplativa, tutte si intrecciano in un cammino di crescita e di approfondimento della vita spirituale.

La preghiera vocale ben fatta può condurre alla contemplazione, in ogni caso quando preghiamo vocalmente può a volte non essere necessario prestare attenzione al significato di ogni parola, quel che conta è amare, può essere questo il caso del Rosario, mentre ripetiamo le Ave Maria.

La meditazione vuole portarci alla conversione della nostra mentalità, sintonizzandola sul Vangelo; essa non dovrebbe consistere nel riflettere molto, ma nell’amare, intrattenen-doci con Dio con fiducioso abbandono.

Esistono vari metodi di fare orazione, all’inizio è importante apprenderne qualcuno per imparare a meditare.

Qualunque sia il metodo adottato, si tratta sempre di scegliere un argomento tratto spesso dal Vangelo o dalla Scrittura; dopo la lettura o la presa in esame del tema è bene passare del tempo a meditare, alla riflessione dovrebbe subentrare il dialogo amoroso con Dio, fino a una sorta di preghiera affettiva, concludendo con un proposito pratico per la giornata.

Man mano che avanziamo nel cammino della preghiera, Dio può agire con l’iniziativa della sua grazia e condurci a una preghiera di semplice sguardo amoroso, fino alla contemplazione, ma questa non è in nostro potere possiamo solo predisporci ad essa, sapendo sempre tornare a meditare e a pregare come sappiamo qualora cessasse la spinta della grazia. In questo campo l’orazione può anche conoscere tempi di aridità e di buio dai quali Dio può farci passare per purificarci, quel che conta è lasciarci condurre da lui, docili alla sua grazia, sapendo che nella via dell’amore giungere all’unione con Dio coincide col vivere in profonda comunione di vita e di intenti fra noi e con gli altri. Noi camminiamo sulla via della santità insieme e questo ci santifica personalmente e comunitariamente. Alla fuga mundi di un tempo, che pure ha fatto i santi, subentra ora l’amore a Gesù in mezzo a noi, il Santo fra noi che ci rende partecipi della sua santità come persone e come comunità.

I rapporti fra noi, la reciproca correzione e promozione, la comunione interpersonale ci fanno sempre più Chiesa viva; la nostra unione con Dio alimentata dall’amore a Gesù crocifisso e abbandonato è così inscindibile dall’amore a Gesù fra noi e in ogni prossimo che incontriamo.

La preghiera ci porta nel cuore di Cristo e del suo mistico Corpo, potremmo concludere dicendo che l’amore verso Dio va di pari passo con l’amore fra noi e con gli altri.

sr. Nunziella

 

 

SLOGAN:             «Pregate incessantemente» (1Ts 5,17)

 

[1] Scopelliti sr. Nunziella, Itinerario di luce, Ed. Paoline, 2018, pp. 49-56.

Testo del Punto_luce di_ottobre saricabile_2022.pdf

Carissime e carissimi tutti,

la vocazione di noi cristiani è l’amore, che si esprime nei vari aspetti della vita concreta, fra questi è prioritaria l’importanza della vita apostolica, del nostro impegno cioè nell’evangelizzare il mondo in cui viviamo prima di tutto con la testimonianza della nostra vita e poi con l’annuncio esplicito.

Apriamo, allora, il nostro cuore agli altri con cui viviamo e che ogni giorno incontriamo, sapendo che tutti siamo amati da Dio, che per tutti Gesù ha versato il suo sangue sulla croce, che siamo tutti figli e figlie dello stesso Padre.

Facciamoci divorare come gli apostoli dal fuoco della carità e dall’ardore missionario, che li ha spinti ad andare in tutto il mondo e a dare la vita per Gesù.

Siamo chiamati a vivere la missione evangelizzatrice della Chiesa là dove viviamo e operiamo

 

Vita apostolica

Il Verbo di Dio, incarnandosi e morendo in croce per noi, ci ha resi partecipi della sua vita divina accogliendoci nella Trinità, prima di andarsene ha inviato gli apostoli in tutto il mondo per proclamare il Vangelo della salvezza a ogni creatura (cf. Mc 16,15). La Chiesa continua la stessa missione evangelizzatrice degli apostoli, depositaria della buona novella, è inviata all’umanità di tutti i luoghi e di tutti i tempi per annunciare che Gesù è il Salvatore e il Redentore di tutti e dell’intera creazione.

Anche noi, membra della Chiesa, siamo chiamati ad evangelizzare gli altri proclamando la buona notizia della salvezza, testimoniando il Vangelo della carità non solo con la parola, ma soprattutto col nostro amore reciproco. Gli altri dovrebbero riconoscerci come autentici discepoli di Gesù da come ci amiamo vicendevolmente. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,15), in tal modo Gesù ci esorta a vivere in comunione fra noi. L’esito dell’evangelizzazione appare così legato alla nostra testimonianza; prima della parola deve essere la nostra vita a parlare: la testimonianza della comunità unita nel nome di Gesù. Siamo chiamati a comunicare la nostra fede; memori dell’affermazione di Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra: e quanto vorrei che fosse già acceso» (Lc 12,49), dobbiamo prodigarci in mille modi per la causa del Vangelo. Nella lettera ai Romani l’apostolo Paolo spiega l’importanza dell’annuncio: «Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? Dunque, la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rom 10, 14b17).

Col fervore degli apostoli non arrestiamoci davanti a nessuna difficoltà sentendo in noi forte e chiaro l’imperativo di Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo» (1Cor 9,16).

L’amore scambievole è, dunque, il fondamento del nostro annuncio, è il fuoco che contagia gli altri venuti a contatto con noi, perché così il Regno di Dio si diffonda nel mondo e tutti diventino una cosa sola in Cristo Signore.

L’amore vicendevole deve estendersi a tutti indistintamente, perché siamo figli e figlie dello stesso Padre; perché questo avvenga è necessario che la nostra vita apostolica sia incentrata sulla carità fra noi e verso ogni prossimo che incontriamo. Dobbiamo imparare ad amare ogni persona con totalità, senza pensare a chi abbiamo incontrato prima o a chi incontreremo dopo. Saper sostare per sentire i vari bisogni di ogni fratello o sorella con cui veniamo a contatto è la via maestra per annunciare la buona notizia del Vangelo.

Amare gli altri significa immedesimarsi, comprenderli, donarsi a tutti e a ciascuno senza ripiegamenti su di sé, rinnegando il proprio io. Se sapremo stabilire dei veri rapporti di amicizia sarà più facile che gli altri, attirati dal nostro modo di relazionarci con loro, siano interessati alla nostra vita e ci domandino di parlare della nostra fede. Non è possibile l’annuncio evangelico se prima non ci sia chi ascolta, è questa la condizione previa per l’efficacia dell’evangelizzazione.

Se poi ci vengono affidate delle persone dobbiamo fidarci della missione che ci è stata data e superare ogni timidezza nel lavorare per il Regno di Dio, sapendo aiutare con pazienza gli altri a crescere nella fede coi loro tempi, fino a immetterli nella vita della comunità cristiana, senza legarli a noi con un rapporto puramente umano e personale.

Va anche tenuto presente che Dio ha un preciso disegno d’amore su ciascuno e che aiutare il fratello o la sorella a noi affidati è anche accompagnarli nella scoperta della loro vocazione perché trovino il loro posto nella Chiesa e nella società.

Anche se, a volte, la vita apostolica ci chiede di parlare a un gruppo o a una folla, va, però, tenuto presente che, come per Gesù, che ha chiamato gli apostoli ad uno ad uno, così per noi, quel che conta è il rapporto personale con ciascuno; se vogliamo edificare la comunità e la Chiesa con l’apporto di nuovi apostoli del Vangelo, dobbiamo essere pronti a farci usare da Dio come suoi strumenti per conquistare altri a Cristo, prendendoci cura di ciascuno.

Anche con i membri delle nostre famiglie, a volte lontani da Dio e divisi da varie tensioni, è importante saper restare in contatto, ricorrendo, se è il caso, a piccoli segni: un dono, un saluto, una visita, tutto può servire a lasciare un varco per Dio aperto nei loro cuori.

La nostra vita apostolica deve rivolgersi a tutti, indistintamente, a cominciare da coloro che Dio ci affida, operando con amore perché tutti siano una cosa sola in Cristo Gesù.

 

 

 

Inserimento ecclesiale e sociale

In quanto cristiani, là dove lavoriamo o operiamo, siamo chiamati a essere segno e sacramento della comunione trinitaria nella Chiesa e nella società, perché il mondo creda all’efficacia della Buona Novella.

Dobbiamo anzitutto vivere tra noi, come comunità cristiana, quella comunione nello Spirito, che desideriamo comunicare agli altri; solo così gli autori della nostra missione saranno Gesù e Maria presenti nella nostra reciproca unità e operanti tramite noi.

È questo il senso di un inserimento ecclesiale e sociale efficace e incisivo al di là dei diversi impegni apostolici e della varietà di forme e di presenza, a seconda della vocazione di ciascuno.

Né si può svolgere un vero servizio apostolico senza essere in dialogo con i vescovi e senza tener conto degli orientamenti del Magistero.

All’interno della Chiesa e della società un’azione apostolica ispirata al Vangelo della carità deve, a mio avviso, mirare a stabilire rapporti trinitari tra persone, gruppi e istituzioni, promuovendo la comunione tra il sacerdozio ministeriale e quello regale. In tutto questo il principio mariano accanto a quello pietrino perfettamente armonizzati aprirebbero la Chiesa e la società a una nuova comprensione del ruolo della donna e a una nuova visione della persona umana integralmente presa e potenziata nelle sue energie vitali e nella sua dignità.

In ogni campo il contributo di ogni persona, istituzione o movimento andrebbe ordinato allo sviluppo della dimensione comunionale della Chiesa, valorizzando nell’unità lo specifico apporto dei vari progetti apostolici.

Siamo chiamati ad essere agenti di trasformazione, favorendo una visione trinitaria delle strutture sociali, che dia più spazio alla collaborazione e valorizzi le diverse funzioni e competenze.

L’amore e l’apertura alla Chiesa e alla società deve animare ogni iniziativa apostolica.[1] 

È importante, in ogni ambiente e in ogni circostanza, agevolare la comunione tra le persone di varia età, nel rispetto di ogni distinzione, a cominciare da quella fondamentale: uomo-donna. La promozione della donna, il rispetto dei ruoli e delle funzioni di ogni persona nell’armonia dell’insieme, l’unificazione della persona umana e delle sue energie affettive e psico-fisiche ordinate all’Amore sono elementi fondamentali di un vero itinerario formativo personale e comunitario improntato al Vangelo.

Solo una profonda e radicale apertura a Dio Amore può darci una nuova visione della Chiesa e della società.

 

Missione evangelizzatrice

Evangelizzare è la vocazione della Chiesa, la sua ragion d’essere; oggi più che mai la nostra missione deve essere quella di cooperare all’estensione e al consolidamento della Chiesa-comunione, in vista di chiamare, tramite lei, l’umanità a partecipare alla vita trinitaria nella quale Cristo Signore ci ha immessi incarnandosi e morendo in croce per noi.[2]

Perché la comunione trinitaria informi sempre più la Chiesa e la società, perché il Vangelo della carità animi sempre più le persone e le strutture ecclesiali e sociali, non va poi dimenticata l’importanza della presenza di Maria nella missione evangelizzatrice, in unità con lei diventerà più facile condurre i cuori a Gesù, amare ogni persona con un cuore di madre, col suo cuore, è questa una strada efficace per l’umanizzazione e cristianizzazione della società, oltre che per la vivificazione della Chiesa.

La nostra missione deve tendere a suscitare una corrente di vita e di spiritualità rappresentata da persone di varia estrazione, età, stato di vita, credo, cultura e nazionalità che, in modi diversi, vengano attirate e influenzate da un autentico spirito di comunione e lo diffondano là dove vivono e operano.[3] In tal modo inietteremo una nuova energia vitale nella compagine ecclesiale e sociale, contribuendo non poco ad aprire i cuori all’accoglienza della buona novella. Per la strada dell’unità e della comunione fra persone, realtà, gruppi, popoli, il mondo potrà camminare sulla traiettoria del Vangelo ritrovando l’itinerario percorribile per arrivare dalla terra al Cielo. La nostra missione evangelizzatrice è quella di indicare all’umanità di oggi, assetata di amore e di bellezza, il segreto della Vita nuova: l’unità di tutti in Cristo, in comunione con la Vergine Madre.

 

 

 

                                                                                                          Sr. Nunziella

 

[1] Cf. Costituzioni delle Suore del Bell’Amore, Vita apostolica, cap. V.

[2]  Cf. Costituzioni…, cap, I, art. 2.

[3] Cf. Direttorio…, cap, IV, art. 56.

 Punto_luce_lug-ago_2022.pdf

Carissime e carissimi tutti,

vengo a voi per riprendere il nostro cammino sulla via dell’Amore, puntando decisamente sulla misericordia reciproca per rendere salda la nostra comunione e la nostra unità. Solo l’amore di misericordia, infatti, può farci capaci di comprendere e perdonare le nostre reciproche fragilità per camminare speditamente sulla strada della santità.

Se due o più persone si uniscono nel nome di Gesù, amandosi reciprocamente fino al punto di essere disposte a dare la vita anche nelle piccole evenienze della quotidianità, in tal caso Gesù è in mezzo a loro; esse diventano cioè una cellula del Corpo mistico portatrice di una speciale presenza del Risorto. Gesù fra noi nella comunità unita nel suo nome è, infatti, fonte di luce e di gioia, la vita, con lui in mezzo a noi, è dinamica, nel senso che non è statica e risente della nostra corrispondenza alla grazia. Se l’uno e l’altra di noi anche per un momento non ama, esce fuori dal circuito della reciproca unità, in tal caso, la presenza operativa di Gesù in mezzo a noi può restare per la fedeltà degli altri membri della comunità; se poi è il gruppo che ha delle tensioni, anche se le persone possono essere in grazia di Dio, anche se non si trattasse di gravi disunità, tuttavia la pienezza di gioia propria di Gesù fra noi verrebbe meno. Perché non ci sia più tale unità in Cristo Signore, non è necessario che succeda chissà che cosa; perché si spezzi l’unità basta non “fare unità”, esprimere per esempio con forza il proprio punto di vista; la forma fa parte del contenuto, spesso un’idea diversa espressa senza garbo e senza il dovuto distacco, anche se giusta, non costruisce il rapporto con gli altri e non è neanche capita.

Se l’unità si è spezzata, se dopo avere sperimentato la bellezza della pienezza di Gesù fra noi siamo usciti fuori da queta vita con lui, non ci è concesso di trovare un’altra strada per andare avanti, siamo come coloro che hanno smarrito il sentiero che conoscevano e si perdono nella boscaglia; sanno, però, che quella non è la strada, perché ormai la luce dell’unità in Cristo li ha folgorati e annaspano nel buio cercando quella presenza di Gesù già sperimentata nella comunione vissuta, ma non possono ritrovarla se non ritornano ad amare.

Se vogliamo tornare a vivere con Gesù fra noi, dobbiamo ricomporre l’unità attraverso l’esercizio della misericordia reciproca.

Per alimentare la presenza di Gesù in mezzo a noi e mantenerla viva e duratura, è indispensabile sapersi perdonare a vicenda e ricominciare sempre dopo ogni caduta; per far questo ho sperimentato personalmente l’efficacia di legarci reciprocamente con un patto di misericordia.

Anche i santi non sono coloro che non sbagliano mai, ma coloro che sanno ricominciare. Vivere la misericordia verso l’altro che ha sbagliato e verso se stessi significa saperci vedere sempre nuovi.

La misericordia più difficile è, a volte, quella verso se stessi.

C’è probabilmente un certo rapporto tra la misericordia e l’umiltà: chi è umile è misericordioso.

L’umiltà ci rende misericordiosi verso noi stessi. Essere umili significa, in fondo, essere intelligenti, avere la coscienza di ciò che siamo, è sapere chi siamo davanti a Dio: egli è tutto e noi siamo nulla, egli è il Creatore e noi siamo creature; quello che abbiamo non ci appartiene, non ce l’avremmo se egli non ce lo avesse dato. Intelligenza, attitudini, capacità, salute, tutto è dono di Dio, non è una nostra proprietà; solo i nostri peccati sono nostri, ma possiamo offrirli a Dio affidandoci alla sua misericordia; egli, infatti, ci ama così come siamo, anche con i nostri limiti e le nostre fragilità.

Ogni giorno Dio ci raggiunge nella nostra piccolezza con la sua misericordia, rimettendo a noi i nostri debiti così come noi dobbiamo rimetterli ai nostri debitori. Siamo chiamati ad avere verso gli altri quella misericordia che Dio per primo ha verso di noi.

Se abbiamo sperimentato la misericordia nel rapporto con Dio ci sarà più facile esercitarla con gli altri nella reciproca carità. Dobbiamo amare gli altri con lo stesso amore con cui Dio ama noi. Se per le nostre colpe si spezza il vaso della nostra vita, Dio non incolla i cocci, ma fa un vaso nuovo: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20b); «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve […]» (Is 1,18).

Dio ci ricrea e là dove sovrabbonda la sua grazia tutto è nuovo e più bello di prima, la stessa dimensione di amore siamo chiamati a viverla noi col patto della misericordia reciproca. Se gli altri sbagliano verso di noi, dobbiamo saperli perdonare e vederli nuovi, senza ricordare le offese subite, riaprendoci alla fiducia, come se facessimo di nuovo la loro conoscenza, quasi non li avessimo mai conosciuti. Tutto può cambiare, non dobbiamo mai dire che non c’è niente da fare, che l’altro è così e non sarà mai diverso. Non sappiamo come Dio con la sua grazia può sempre agire nei cuori dei suoi figli e figlie.

Leghiamoci, allora, per sempre col patto di misericordia e per aiutarci a fare questo cammino di riconciliazione con noi stessi e con gli altri, proviamo, ogni sera, andando a letto, a seppellire, per così dire, la nostra vita di prima coi suoi successi e i suoi fallimenti e alziamoci, ogni mattina, guardando noi e gli altri con occhi nuovi. Tutto può ricominciare meglio di prima. Anche il positivo di ieri non deve legarci, perché Dio può fare oggi qualcosa di più bello e di più grande. Ancor meno il negativo di ieri deve bloccarci perché Dio sa scrivere dritto sulle righe storte e tutto concorre al bene per coloro che credono in lui e sono stati chiamati secondo il suo disegno (cfr. Rm 8,28).

Il patto di misericordia va rinnovato in ogni momento, sapendo trarre profitto anche dalle nostre cadute.

I santi sono dei peccatori che hanno creduto nell’amore di Dio.

Instauriamo, allora, tra noi, un clima di misericordia reciproca, perché uno sguardo sempre rinnovato su ciascuno impedica qualunque incrinatura della comunione.

Per ricomporre l’unità, impariamo a chiederci esplicitamente scusa con semplicità e trasparenza.

La comunione fra noi è più sicura se poggia su un patto di misericordia fondato sul perdono vicendevole. Solo così la fede nell’Amore ci fa capaci di dare la vita gli uni per gli altri nelle varie vicende di ogni giorno, non contando sulla nostra fragilità umana, ma su Gesù, che ci fa uno in lui. In tal modo, l’amore reciproco diventa testimonianza viva della presenza del Risorto, che vive e opera fra noi, attirando tutti e tutto a sé.

  

Restiamo uniti in Gesù fra noi,

sr. Nunziella

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