Punto_luce_settembre_2022.pdf

 

Carissime e carissimi tutti,

nel camminare insieme sulla via dell’Amore, non possiamo non tener conto di tutti gli infiniti aspetti concreti del nostro vivere quotidiano, nei quali e attraverso i quali siamo chiamati a concretizzare il nostro amore per Dio e per gli altri.

Davanti a mille stimoli e alle varie vicissitudini di ogni giorno dobbiamo continuamente prendere mille piccole e grandi decisioni che ci chiedono di avanzare verso sempre nuovi traguardi, attraverso un costante discernimento e un’umile ricerca della volontà di Dio personale e comunitaria.

 Comunione dei beni e giustizia evangelica

Se stabiliamo con gli altri un rapporto di autentica comunione in Cristo, sperimenteremo la presenza di Gesù fra noi, nella gioia dell'amore scambievole.

L'Amore, che è Dio, quando si incarna nella nostra realtà umana, si esprime in tutti gli aspetti concreti della vita. Le varie dimensioni della nostra esistenza vengono, in qualche modo, assunte da Gesù per riflettere e manifestare l'Amore in modi diversi.

Il primo di questi aspetti concreti, che tutti siamo chiamati a vivere, riguarda l'economia. Potremmo dire che la prima cosa che siamo chiamati a fare, andando dietro a Gesù, è quella di mettere in ordine i nostri conti. Qualcuno, forse, si aspetterebbe che, come primo aspetto, menzionassi la preghiera, e invece no; non per niente la prima cosa che Gesù chiede a chi vuol seguirlo è: «Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt 19,21).

Non voglio qui parlare del voto di povertà che fanno i religiosi e le religiose, ma della povertà richiesta a tutti i cristiani indistintamente. Non c'è compatibilità fra Gesù e una non equa distribuzione della ricchezza. Chiediamoci, allora, quale sia il senso profondo di questo regolare i nostri conti. È la beatitudine: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3), non si può essere con Gesù e non essere poveri in modo evangelico.

La parola del Vangelo che indica il modo in cui va vissuto questo aspetto dell'Amore è: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). Se cerchiamo Dio, posponendo ogni cosa a lui, tutto il resto, anche il centuplo su questa terra, anche i beni materiali ci saranno dati in aggiunta, perché abbiamo cercato Dio e non i nostri interessi umani. È questa una promessa evangelica: dei primi cristiani è detto che non c'era fra loro nessun indigente, perché facevano la comunione dei beni fra loro (cfr. At 2,44-45).

Se vogliamo essere discepoli di Gesù, veri cristiani del nostro secolo, dobbiamo seguire Gesù in modo totalitario, ognuno secondo la propria vocazione, ma in pienezza.

La maniera concreta di realizzare la comunione dei beni fra noi dipenderà dalle varie situazioni, l'importante è che ciascuno incarni la sua scelta di Dio anche nel modo di usare i pochi o molti beni che possiede, sapendo al momento opportuno metterli a disposizione degli altri.

Il frutto della nostra comunione dei beni sarà allora un patrimonio, un capitale che l'Amore amministrerà a beneficio di tutti. La comunione dei beni realizza la vera giustizia.

Maria, nel Magnificat, indica i criteri di una nuova economia, basata sulla giustizia e sulla comunione, nella quale i ricchi condividono i loro beni con i poveri, in vista di una società più equa.

Quando nelle nostre comunità o nelle nostre famiglie non arriva il “centuplo”, dovremmo per prima cosa esaminarci per vedere se abbiamo veramente cercato prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia; del resto non serve a niente  nemmeno dare i nostri beni ai poveri se non abbiamo cercato prima di tutto il regno di Dio, perché, come dice san Paolo: «E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe» (1Cor 13,3). L'equa distribuzione della ricchezza fra noi è conseguenza dell'amore.

Se ho due paia di scarpe, mentre il fratello o la sorella non ne hanno, io ne do uno.

I primi cristiani ci indicano, nella comunione dei beni vissuta, il fondamento e l'espressione concreta della reciproca carità, come loro anche noi siamo chiamati a mettere in comune i nostri beni materiali e spirituali: talenti, competenze, attitudini, ricordandoci che nella vita si ha sempre quel che si è donato.

Dobbiamo imparare a vedere nelle varie vicende e situazioni, che possono toccarci più o meno da vicino, uno stimolo o una provocazione per rifare la nostra scelta di vita cristiana, vivendo le perenni istanze del Vangelo, che ci aprono ai più poveri: senza tetto, senza casa, senza patria, senza lavoro…

Se ci amiamo scambievolmente come Gesù ci chiede, egli stabilirà fra noi il suo regno di giustizia e di pace.

Nelle nostre umane vicende Dio agisce misteriosamente, con la sua Provvidenza, basti pensare alle parole di Gesù nel Vangelo: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28b-29).

Se cercheremo anzitutto Dio e la sua giustizia in ogni momento, tutte le altre cose ci saranno date in aggiunta. Non preoccupiamoci del domani, fidiamoci della Provvidenza, sapendo aprire il cuore agli altri, per questa strada non tarderemo a sperimentare il centuplo promesso da Gesù.

 Il lavoro

Un'altra dimensione importante di questo aspetto dell'Amore è il lavoro: lavoro e capitale vanno insieme; dovremmo coltivare un altissimo senso del lavoro.

Il Verbo di Dio, venendo su questa terra, ha lavorato con le sue mani. Bisogna avere il senso giusto del lavoro: dobbiamo lavorare come Gesù, come Maria e come Giuseppe a Nazareth.

Il lavoro fatto bene, col suo relativo guadagno, ci permette di concretizzare l'amore, contribuendo alla nascita di una società più equa.

Gesù, Maria e Giuseppe, nell'incantevole quadro della casa di Nazareth, ci mostrano la bellezza di una vita povera, semplice e laboriosa, dove il lavoro umano acquista il suo autentico valore.

I frutti del lavoro, ben impiegati, ci permettono di provvedere ai nostri bisogni e di aiutare gli altri, in modo che la circolazione dei beni materiali favorisca la comunione, divenendo fondamento ed espressione concreta dell'amore scambievole.

Il lavoro è il mezzo per guadagnarci la vita onestamente, memori di san Paolo che dice: «Chi non vuol lavorare neppure mangi» (2Ts 3,10), dobbiamo avere un elevatissimo concetto del lavoro, esso non è un'appendice o un'aggiunta alla nostra vita, ma la nostra stessa vita o almeno parte integrante di essa: diamo gloria a Dio lavorando.

Il lavoro o il guadagno sono per Dio e per costruire il Suo Regno; la Provvidenza non farà mai mancare i mezzi a chi lavora per la gloria di Dio.

 Economia comunionale

Il Creatore ha dato il mondo e la terra all'umanità come dono d'amore, perché giovi alla sua crescita umana e spirituale. La possibilità di vivere senza precarietà e di dare un contributo al bene comune è inscritta nella dignità della persona e non può esserle negata.

L'universale destinazione dei beni comporta che ogni proprietà e, in particolare, quella dei mezzi di produzione, diventa ingiusta, se danneggia gli altri, riducendoli in miseria, rompendo il circuito della comunione fra persone, gruppi, popoli, istituzioni.

In un mondo pieno di contrasti e, non di rado, di prevaricazione, è importante la testimonianza di chi sceglie la povertà per il Regno dei cieli, è un richiamo evangelico a vivere la comunione dei beni, perché non ci sia nessun indigente.

Non possiamo chiudere il cuore al grido dei poveri e dei popoli soggetti alla fame e al sottosviluppo.

È tempo di scoprire la possibilità di una nuova circolarità dell'economia, che aiuti i più poveri a entrare nell'economia mondiale come protagonisti, in una sana interdipendenza.

La logica del lavoro e delle imprese non può mirare al solo profitto, ma al rispetto delle esigenze della persona, ma qui dobbiamo parlare della necessità di una nuova visione dell'economia.

La ricerca del regno di Dio “prima di tutto il resto” ci fa scoprire un nuovo modo di concepire l'economia.

Non si tratta di economizzare per abbellire la propria casa, per comprare una macchina nuova o la pelliccia di visone, ma di sperimentare, con la vita, la verità delle parole del Vangelo secondo le quali a chi dà sarà dato e il resto giungerà in sovrappiù (cfr. Lc 6,38; Mt 6,33).

Il centuplo per chi segue Gesù è assicurato.

 La proprietà privata

Il fondamentale diritto alla proprietà e all'iniziativa è l'espressione della libertà della persona, aperta alla comunione. Ogni bene materiale, intellettuale e spirituale ci è dato da Dio per edificare sia chi lo riceve, sia l'intera umanità. Tutto deve circolare, come nella Trinità tutte le cose del Padre sono del Figlio e viceversa (cfr. Gv 16,15).

  La proprietà privata permette il libero uso e usufrutto dei beni e stimola la creatività; la sua violazione o il suo non riconoscimento provoca non pochi problemi per la pacifica convivenza e lo sviluppo umano e sociale dei popoli. Il diritto all'iniziativa e alla proprietà garantisce il costruirsi di una società guidata dalla libertà e l'instaurarsi di un'economia, in cui il mercato e l'impresa non impediscono la corresponsabilità e la partecipazione attiva delle persone; la collaborazione si attua in modi diversi: o mettendo a disposizione la mano d'opera o il capitale e i mezzi di produzione.

 Ecologia e ambiente

Un'autentica economia, ispirata dal Vangelo, sa, inoltre, che ci sono dei beni che non si possono trafficare, né vendere, né comprare, fra questi, per esempio, la vivibilità dell'habitat naturale del nostro pianeta, ormai minacciato sul piano ecologico. L'umanità è aiutata o danneggiata nella sua crescita dall'ambiente circostante. Enormi sono i danni di un'ecologia sconvolta da un'azione umana sconsiderata.

Vorrei, a questo proposito, citare un'esperienza personale: mi trovavo a Casa Madre, intenta a pregare in Cappella, in un afoso giorno d'estate; ero affranta dalla calura estiva più che tropicale a causa delle conseguenze dell'urbanizzazione, che, a Palermo, ha fatto sparire il verde dalla città.

Immersa in un certo raccoglimento, stavo per formulare un atto di accettazione della sapienza di Dio creatore, che ha voluto il caldo e il susseguirsi delle stagioni, quando mi sono fermata e ho capito che, nella mia preghiera di quel momento, non sentivo tanto di lodare Dio per il ritmo del caldo e del freddo dell'anno solare, quanto piuttosto di amare la presenza di Gesù crocifisso nel dolore e nelle piaghe di un'umanità che aveva alterato la natura, invece di collaborare col Creatore. Dio, infatti, ha certamente creato ampi spazi naturali sufficienti per ogni uomo o ogni donna del globo e non ha predisposto, nella sua provvidenza, né che le case in muratura sorgessero, sconsideratamente, una accanto all'altra, né che le macchine e le industrie si addensassero in pochi metri quadrati, rendendo la calura estiva quasi insostenibile per l'assenza della più piccola zona d'ombra in grandi agglomerati urbani.

Come dare noi, fin da ora, il nostro contributo perché il nostro pianeta diventi più vivibile, tenuto conto del riscaldamento globale a causa delle eccessive emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera?

Vigiliamo nel nostro piccolo angolo di mondo perché, per quel che dipende da noi, ogni bene materiale e spirituale sia rispettato e restituito al suo fine, secondo la sua destinazione universale.

Tutto è di tutti. Dobbiamo saper condividere ciò che abbiamo e rispettare l'ambiente in cui viviamo, custodendo il creato, non gettando carte per strada, non calpestando le aiuole pubbliche; mettiamo i nostri talenti a disposizione di chi ce li domanda, promuovendo iniziative efficaci per il bene comune come la scelta dell’energia pulita.

Impariamo ad abbracciare con lo stesso Amore le persone e la creazione, nel loro ordine distinto; amiamo tutti e tutto, momento per momento…

 Promozione sociale

I popoli con le loro angosce ci interpellano drammaticamente.

La situazione attuale del mondo esige un'azione unitaria e articolata, ispirata a un’autentica visione evangelica.

I primi cristiani mettevano tutto in comune e non c'era fra loro nessun indigente, dobbiamo vivere secondo questa visione.

Il mondo è assetato di giustizia, tuttavia non saremo mai capaci di operarla, se non impariamo a condividere ciò che abbiamo con chi ci è più vicino, con chi sta forse di fronte alla porta di casa nostra.

«I poveri… li avete sempre con voi» (Gv 12,8). Dove sono? Bisogna saperli trovare, forse stanno proprio nella cerchia dei nostri parenti. Forse si tratta di quella nostra zia che vive sola e abbandonata, mentre noi stiamo bene e godiamo di tanto superfluo; forse si tratta di un amico, la cui famiglia attraversa un momento difficilissimo.

Apriamo gli occhi, scoviamo come san Vincenzo de' Paoli i poveri nei loro nascondigli, andiamoli a trovare e amiamoli, al punto da "farci perdonare" se portiamo loro qualcosa da mangiare: è un atto di riparazione più che di carità. Solo così il grido dei popoli della fame ci troverà capaci di intenderlo e sapremo lavorare e impegnarci anche sul piano sociale, in modo da favorire il corso della giustizia e della pace nella nostra nazione e fra le nazioni.

La prima giustizia comincia da casa nostra, tuttavia non può arrestarsi né al nostro ambiente, né al nostro paese.

Il mondo esige oggi dei cambiamenti arditi a servizio della fraternità dei popoli, nella lotta contro la fame, l'ignoranza, il sottosviluppo, la miseria. Bisogna adoperarsi incessantemente perché i diritti fondamentali della persona siano rispettati.

Nella misura delle nostre possibilità e capacità, siamo chiamati a dare il nostro contributo nell'ambito della promozione sociale, pur sapendo che la pienezza della comunione non può mai raggiungersi su questa terra a partire da un impegno puramente sociale, perché il regno di Dio non è di questo mondo e l'economia esaustiva è quella della salvezza in cui Cristo Gesù ha assunto la nostra umanità e ha messo in comune con noi la sua stessa vita trinitaria, aprendoci il varco alla Trinità; lì in Dio, nell'eterna beatitudine del Cielo, godremo un giorno quella comunione che avremo ricercato e vissuto su questa terra anche attraverso i segni concreti della carità e della condivisione.

 

Giugno 2022

  

La comunione trinitaria

 

Punto luce giugno 2022.pdf

 

Carissime e carissimi tutti,

in questo Punto luce vorrei meditare con voi sull’insondabile mistero della Trinità per cogliere qualcosa di questo immenso oceano di luce e vivere con rinnovato ardore la comunione con gli altri, mutuando i nostri rapporti reciproci dalla vita della Trinità, di cui Cristo Gesù ci ha resi partecipi con la sua incarnazione.

Anche se piccolissimi davanti a Dio, egli nella sua estrema tenerezza, si è degnato di introdurci nel suo mistero. Siamo fin d’ora, in forza del battesimo, figli e figlie nel Figlio, immersi nel seno del Padre anche se continuiamo a vivere la vita quaggiù.

Cerchiamo, allora, le cose di lassù dove è Cristo nella gloria alla destra del Padre, lì siamo attesi, lì dobbiamo volgere il nostro sguardo e orientare la nostra speranza.

 

Nell’incarnazione del Verbo, al momento dell’Annunciazione, Dio si è rivelato per la prima volta come comunione d’amore di tre Persone uguali e distinte.

Il Verbo si è fatto carne in Maria, divenendole figlio. In Gesù e nella Vergine Madre si è così espressa nella carne la relazione nello Spirito Santo che lega il Padre e il Figlio nella Trinità.

Il Figlio generato ab æterno dal Padre, è generato nella carne da Maria.

La pienezza di vita delle Persone divine sta nel continuo donarsi, nell’essere l’una per l’altra dono e perfetta reciprocità.

Gesù, Verbo incarnato, viene a renderci partecipi di tale relazione trinitaria.

Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, tutta la nostra vita ha da essere una lode di gloria alla Santissima Trinità, e questo sia personalmente, sia insieme come comunità di salvati.

Per vivere tale comunione trinitaria non dobbiamo, però, collezionare belle relazioni fra noi, ma accogliere in noi lo Spirito Santo per farci guidare interiormente dalle sue mozioni e stabilire con tutti e con ciascuno una vera relazione in Dio.

Nell’ineffabile armonia della comunione trinitaria, il Padre, nella sua suprema kenosi d’amore, genera il Figlio che a lui ritorna. Lo Spirito, procedendo da entrambi, è l’Amore increato, l’unità del Padre e del Figlio.

Il «tu in me e l’io in te» (Gv 17,21) delle Persone divine fonda la loro mirabile unità-distinzione.

La Trinità è completa in se stessa. Il Padre è nel Figlio, il Figlio è nel Padre, nello Spirito.

Il Cristianesimo è fede nell’Amore che esiste, che crea, che salva e redime: questo è Dio-Trinità.

Contemplare la Trinità è immergersi in un oceano di delizie, nella vita di Dio, nella sua insondabile intimità.

Siamo stati creati per vivere la vita trinitaria fra noi, ciò è possibile se condotti dalla grazia amiamo, come figli e figlie nel Figlio, l’eterno Padre, facendo la sua volontà.

Come possiamo fare questo nella vita di ogni giorno?

C’è un episodio del Vangelo che può illuminarci a questo proposito quando Maria e Giuseppe recatisi a Gerusalemme smarriscono Gesù e lo cercano angosciati; ritrovatolo intento a parlare coi dottori del Tempio, Maria gli domanda: “Perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo.”. E Gesù risponde: “Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Il Vangelo poi continua dicendo che Gesù scese a Nazareth e stava loro sottomesso. Si direbbe che qui ci sia una contraddizione fra Giuseppe, il padre terreno, e il Padre; in realtà la sottomissione d’amore di Gesù a Giuseppe e a Maria non si pone come ostacolo al suo rapporto col Padre; egli obbedisce ai suoi genitori perché essi esprimono per lui la volontà del Padre celeste.

Anche noi, come Gesù e in Gesù, siamo chiamati a fare, da figli, la volontà del Padre obbedendo anche noi a coloro che esprimono il Padre nella nostra vita, che fanno cioè la parte del padre, può trattarsi dei genitori, dei superiori di una comunità religiosa, del preside di una scuola, del capoufficio, ecc. Non c’è società, gruppo umano, popolo che possa esistere senza un capo. In ogni realtà associativa è indispensabile che si instaurino tra le persone dei rapporti trinitari, per cui ci sia sempre chi fa da padre e chi fa da figlio, in un gioco relazionale che può anche invertirsi con la stessa dinamica, per cui a un certo punto chi faceva da figlio torni a fare da padre e viceversa, ma guai a un gruppo umano dove tutti fanno da padre, è il caos, il padre ha da essere uno solo, diversamente si instaura un conflitto fra coloro che vogliono comandare senza amare. Anche una società o una famiglia senza padre cade ugualmente nel caos perché senza qualcuno che guidi non si va da nessuna parte.

Nella Trinità il Padre ama ed è puro dono, il Figlio riceve il dono e torna a lui nello Spirito che li unisce ed è l’Amore stesso. Dono e accoglienza debbono incontrarsi in ogni vera relazione sia interpersonale, sia di gruppo, dover chi fa da figlio può anche essere un insieme di persone che concordano nel sintonizzarsi su chi, da padre, li guida con amore.

Solo vivendo in questa reciprocità possiamo sperimentare gli effetti dello Spirito consolatore, la gioia dell’unità.

I nostri rapporti saranno mutuati da quelli delle Persone divine per partecipazione di grazia e tutto ci condurrà a vivere l’amore scambievole fino a sentirci una cosa sola in Cristo, figlie e figli nel Figlio, solo in lui fatti Figlio nell’amore reciproco possiamo allora giungere a fare l’esperienza di sentirci nel seno del Padre avvolti dalla sua tenerezza.

Non c’è altra strada per arrivare al Padre se non il Figlio. Nell’Unigenito, fatti lui, anche noi, anche tu, anch’io, per un dono di grazia, possiamo giungere a dire:

“Eterno Padre, Papà mio, Papà nostro, Tenerezza eterna, nel Figlio, ogni figlio sta nel tuo seno, da sempre mi hai visto, mi hai pensato, mi hai generato come figlio unico e prediletto nel Figlio.

Su di me è un’eternità d’amore, sono stato amato dall’eternità e per l’eternità. Sono stato agognato prima di nascere, prima di essere creato per sempre.

Tu hai un solo Figlio, ogni figlio è unico per te nel Figlio. Ed io posso amarti, mi hai generato come risposta d’amore per te, ed io posso amarti con un cuore di carne, che batte per te. Quanto poco ti ho conosciuto e amato, o “Bellezza sempre antica e sempre nuova”, fa che impieghi solo per amarti il tempo che mi rimane da vivere.

Su di me è riposta la tua trepidante compiacenza, la tua tenerezza materna: «Sia fatta la tua volontà» (Mt 6,10) ogni momento, in ogni attimo della mia vita. Amen”.

 

sr. Nunziella

 

 

 

 

 

MAGGIO 2022

Carissime e carissimi tutti,

siamo ancora in pieno periodo pasquale, mi sembra bello perciò dedicare questo Punto luce alla contemplazione di Gesù risorto, fondamento della nostra fede e della nostra speranza per opera sua abbiamo ottenuto la remissione dei peccati. Egli, morto per noi, non ha subito la corruzione e, glorificato dal Padre, è diventato principio di risurrezione e di vita nuova per tutti noi e per l’intero cosmo.

La risurrezione di Gesù è l’inizio della Nuova creazione, nella quale anche la materia si ordinerà allo spirito in perfetta armonia. Cristo risorto è il nostro futuro e quello dell’universo, egli è per sempre il pane dato per noi, l’Amore del Figlio di Dio espresso anche umanamente nel supremo dono di sé sulla croce, la morte datrice di vita, eternizzata nella gloria della risurrezione. L’umanità di Gesù glorificata è resa partecipe della divinità del Verbo di Dio.

La risurrezione coinvolge tutta la storia dell’umanità e dell’universo.

Proviamo, allora, a inoltrarci nella contemplazione di questo grande mistero, facendoci guidare dalla Parola di Dio.

 «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede» (1Cor 15,17), così afferma san Paolo ponendo subito dopo, proprio nella certezza della risurrezione, il fondamento della nostra fede in Cristo Gesù.

Le apparizioni del Risorto ai pochi testimoni, che Dio ha scelto per manifestarsi, ci mostrano chiaramente che non siamo davanti a un “risuscitato” che tornerà a morire, come nel caso di Lazzaro, ma davanti a una persona che vive in un’altra dimensione: Gesù risorto penetra a porte chiuse, ma si lascia toccare, non è un fantasma; siede a tavola coi discepoli di Emmaus, ma scompare allo spezzare del pane; nessuno lo riconosce al suo apparire, Maria lo scambia per l’ortolano, solo all’accendersi della luce interiore della fede da lui suscitata, egli si fa riconoscere.

Tutto mostra che non ci troviamo davanti a esperienze mistiche dei vari protagonisti, ma davanti a veri e propri incontri con una persona vivente, che li sorprende e sconvolge.

La risurrezione di Gesù non è un miracolo sia pure straordinario, ma un mistero che coinvolge tutta l’umanità e l’intera creazione.

Se Cristo è risorto anche noi risorgeremo, perché in lui tutti riceveremo la Vita eterna (cfr. 1Cor 15,22).

C’è da chiederci con quale corpo risorgeremo.

A questo proposito san Paolo così spiega nella prima lettera ai Corinzi: «Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito e a ciascun seme il proprio corpo» (1Cor 15,36-38).

La risurrezione di ciascuno di noi implica per Paolo un atto creativo di Dio, che darà a ciascun seme il proprio corpo ormai libero dai condizionamenti terrestri, come egli stesso precisa: «È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità, è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale» (1Cor 15,42-44).

L’identità personale di ciascuno di noi permane e il corpo glorioso, nella sua trasformazione, diventa un corpo spirituale, ma non un semplice spirito privo di materia, questa semmai viene purificata da ogni imperfezione per partecipare alla vita divina. La risurrezione è la divinizzazione di tutta la persona umana integralmente presa.

Solo nel mistero di Gesù risorto è possibile, però, spiegare o balbettare qualcosa di questa sublime realtà.

La risurrezione di Gesù è la sua entrata in una dimensione nuova, non soggetta allo spazio e al tempo.

La morte di Gesù assunta da lui non pone fine alla vita, ma fa morire la morte, diventando varco della risurrezione che non avviene dopo la morte, ma nella morte stessa.

È lo stesso Gesù crocifisso morto in croce che viene glorificato nell’unità anima-corpo, ricevendo un’esistenza pienamente umana, ma diversa da quella terrena. Nella risurrezione di Gesù, Dio inaugura la Nuova creazione, non più dal nulla, ma dalla realtà di Cristo storico. Alla creazione subentra la Nuova creazione a partire da Gesù risorto.

Se consideriamo il corpo umano in se stesso, va a questo punto precisato che esso, nella sua realtà fisiologica e biologica, soggetta alla crescita e alla decomposizione, costituisce per ogni persona la possibilità di esprimere la vita dell’anima e di intavolare relazioni con Dio, con gli altri e con il creato.

La risurrezione ricomporrà per ciascuno di noi il rapporto armonioso corpo-anima e la piena vita relazionale con Dio, con gli altri e col cosmo. Nella risurrezione la materia trasformata non farà più ostacolo allo spirito umano.

Noi viviamo condizionati dallo spazio e dal tempo, il nostro corpo ci mette in rapporto con tutti e con tutto, è centro di relazioni col cosmo, del quale siamo parte, pur tendendo a dominarlo.

Gesù risorto domina l’universo, non è più condizionato dallo spazio e dal tempo, ma contiene in se stesso tutta l’umanità e il cosmo, egli è presente corporalmente ovunque, tutto riempie di sé, tutto contiene in sé, tutto penetra e vivifica.

Il corpo di Gesù, durante la sua esistenza terrena non è mai stato di ostacolo alla vita dello spirito, ma ha partecipato pienamente al dono totale di sé al Padre e a noi tutti fino alla morte.

Il sacrificio della croce liberamente accettato ha trasformato la morte in vita piena, quella del Figlio di Dio. La morte d’amore del Crocifisso è eternizzata dalla risurrezione, assunta da Cristo è “divinizzata” e dona la vita.

Gesù risorto è anche umanamente, nel suo essere corporeo e spirituale, il Figlio, la sua umanità glorificata è resa partecipe della divinità del Verbo.

La risurrezione di Gesù non è, però, un fatto personale, che riguarda solo lui, ma ha un risvolto cosmico, è il compimento della storia della salvezza e del disegno di Dio sull’umanità e sul creato.

Tutta la creazione, come ben spiega san Paolo, attende con impazienza di essere liberata dalla corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (cfr. Rom 8,19-22); la creazione attende la Nuova creazione: i cieli nuovi e la terra nuova (cfr. Ap 21,1).

Il Risorto è il fine della storia; egli salendo al Cielo, alla destra del Padre, non si allontana da noi, anzi il Cielo è lui stesso che tutto contiene in sé. Egli è presente all’universo in modo nuovo, egli è presente a noi in modo intimo e profondo.

Risorgendo, Gesù ci porta con sé, egli è con noi sempre, la Parusia non sarà la sua venuta definitiva, quasi il suo ritorno, ma la sua manifestazione, perché Gesù non è assente dal mondo ma presente in modo nuovo, in forza della sua risurrezione.

Gesù risorto è presente all’umanità di tutti i tempi, egli contiene in se stesso ogni tempo e ogni spazio, è il centro della storia; nel suo corpo glorioso gli uomini e le donne di tutti i luoghi e di tutte le epoche possono radunarsi e ritrovarsi in unità.

La comunione di tutti in Cristo è stata pagata da Gesù crocifisso ed è iniziata con Gesù risorto. L’unità è la caratteristica distintiva dell’umanità nuova.

Il Risorto, però, è anche causa della ricapitolazione universale del cosmo, creato da Dio per noi; c’è un legame indissolubile fra noi e la creazione.

La creazione tende alla sua liberazione; Gesù risorto quale fine ultimo a cui il cosmo è ordinato, esercita fin da ora la sua influenza e il suo influsso sul mondo, salendo al Cielo, si è reso vicino a noi e al cosmo in modo nuovo.

Con la risurrezione di Gesù l’umanità e il creato sono già entrati in Dio nel corpo del Risorto, è così iniziato il ritorno della creazione nel seno del Padre, che si compirà nella Parusia.[1]

 

sr. Nunziella

 

 

SLOGAN: Nel Risorto ci muoviamo e siamo, cerchiamo le cose di lassù.

 

[1] Cfr. G. Rossé, La risurrezione di Gesù in Nuova Umanità I (1979) 4/5, pp. 51-72.

Marzo 2022

Carissime e carissimi tutti,

davanti alle varie vicende della nostra vita, alle tensioni della vita sociale e ai mali che affliggono il mondo spesso in modo tragico e angosciante potremmo arrestarci nel cammino della santità e chiuderci in noi stessi, difendendo le nostre sicurezze e il nostro io, sopraffatti dalle nostre paure. Non è questa la strada da percorrere se vogliamo camminare nella luce e non nelle tenebre. Quel che conta non è lasciarci prendere dalle analisi negative di ciò che accade, ma fare il vuoto dentro di noi per amare con totalità, nell'attimo presente, il fratello o la sorella che ci sta innanzi, per compiere con pienezza la volontà di Dio, rinnegando la nostra.

È la strada evangelica del rinnegamento di sé indicataci da Gesù l'unica che può condurci nella via dell'Amore.

 

 

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Queste parole di Gesù spiegano la radicalità della sequela che i suoi discepoli sono chiamati a vivere: il totale rinnegamento di sé come condizione e conseguenza di un'autentica donazione a Dio e agli altri. Dobbiamo saperci fare interiormente vuoti di tutto ciò che ci impedisce di vivere la comunione con Dio e con gli altri, vuoti del nostro io. Siamo chiamati, innanzitutto, a posporre ogni cosa all'amore per Dio, solo così saremo capaci di amare anche gli altri, come Gesù vuole.

Il rapporto con Dio e fra coloro che sono chiamati a formare la comunità unita nel nome di Gesù esige il dono totale di sé che porta a distaccarsi da ogni attaccamento disordinato a persone e cose. Tale distacco è richiesto a tutti i cristiani indistintamente.

Se non siamo capaci di distaccarci da tutto, anche dalla nostra presunta santità personale, dalla nostra volontà, per fare la volontà di Dio non possiamo essere autentici discepoli.

Se amiamo padre, madre, figli, moglie, campi più di Dio, non possiamo camminare alla sequela di Gesù, come egli stesso ci insegna: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 26).

Niente deve occupare o ingombrare il nostro mondo interiore. San Giovanni della croce spiega come un piccolo attaccamento abituale "quantunque non sia materia di peccato mortale, è sufficiente per far diventare l'anima tanto schiava, sudicia e brutta che in nessun modo, finché l'appetito non sia purificato, essa può unirsi con Dio"[1]. Si può trattare dell'affetto per una persona cara, dell'attaccamento a un vestito, a un determinato genere di cibi, di conversazioni, di conoscenze, ecc. Queste imperfezioni, se diventano delle abitudini, sono più pericolose di altre cadute, esse anche se sono di lieve entità legano l'anima a tal punto che non solo non la fanno avanzare nel cammino della santità, ma la fanno retrocedere, facendole perdere ciò che in tanto tempo e con tanta fatica aveva guadagnato[2].

In epoca più recente, nell'ottica della Chiesa della comunione, Chiara Lubich invita a vivere il rinnegamento di sé, non solo liberandosi da ogni attaccamento per le persone e le cose create, ma anche per Dio stesso, guardando a Gesù crocifisso e abbandonato, che si è donato tutto a noi fino a perdere Dio per Dio, facendosi "nulla" per amore. Sulla stessa scia, anche noi vogliamo vivere la comunione con Dio e con gli altri, facendoci interiormente vuoti di tutto, anche di ciò che ci sembra un'ispirazione o un'esperienza di Dio, per donarci interamente, nel presente, a Dio, nel compimento della sua volontà e al nostro prossimo nell'amore scambievole. Solo così, attraverso questo perfetto rinnegamento del nostro io, l'unità con Dio e tra noi sarà possibile.

In questa prospettiva la rinunzia acquista una valenza positiva, siamo centrati sulla comunione, sul dono totale di noi a Dio e agli altri, senza guardare tanto a quello che perdiamo; la rinunzia, il vuoto interiore è piuttosto la conseguenza dell'amore che ci fa uno con Dio e fra noi. Più ci doniamo, più ci svuotiamo del nostro io. In tal modo ci facciamo santi, camminando insieme, per vivere fra noi la comunione trinitaria. Come il Padre è tutto nel Figlio e non è per sé, così il Figlio è tutto dono per il Padre e non è per sé, così lo Spirito Santo è dono per il Padre e il Figlio. La perfetta pericoresi delle Persone divine è una dinamica di unità e distinzione dove il dono totale e reciproco presuppone la perfetta Kenosi dell'amore delle Persone della Trinità, che mirabilmente Gesù abbandonato esprime sulla croce nel mistero della sua passione, dove si fa redenzione attraverso il suo svuotamento totale per darsi a noi, così come nella Trinità si dona al Padre, lì in una Kenosi, per così dire, gioiosa, qui in una kenosi dolorosa e attraversata dall'esperienza dell'abbandono.

Anche noi siamo chiamati a guardare a Gesù crocifisso e abbandonato per vivere il "nulla di noi", il rinnegamento di noi stessi fino a saper perdere Dio per Dio, come Maria che, ai piedi della croce, ha perso Gesù, ha fatto il sacrificio del Figlio Dio per fare la volontà di Dio, accettando di diventare nostra Madre, accogliendo tutti in Giovanni, al posto del Figlio.

Il "nulla" di san Giovanni della croce da lui inteso come totale spogliamento di sé da qualunque attaccamento o passione per giungere all'unione con Dio, nell'ottica della Chiesa della comunione diventa così il nulla di sé, il vuoto interiore vissuto in comunione con Gesù crocifisso per giungere all'unità con Dio e fra noi. Nella sua passione d'amore Gesù abbandonato non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2,6-7), in tal modo è diventato per noi il varco alla Trinità.

Dobbiamo accogliere Gesù in noi sul nulla di noi per poter giungere a dire: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), solo così potremo veramente amare Dio e gli altri, solo così giungeremo a farci uno col fratello o con la sorella che incontriamo, condividendo le sue pene e le sue gioie., vivendo negli altri e per gli altri, donandoci a loro nel perfetto rinnegamento di noi stessi. È la strada per seguire Gesù facendo come lui e con lui la volontà di Dio, amando Cristo vivo e presente in ogni prossimo, fino a giungere a vivere il comandamento nuovo che ci fa una cosa sola in lui.

Il rinnegamento di sé richiede di saper perdere la propria vita per salvarla come dice Gesù: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,34-35).

È la logica del Vangelo, è la morte d'amore per la Vita. Non è il perdere per il perdere, una religione del perdere non ha nessuna attrattiva, è piuttosto trovare la pienezza del rapporto con Dio e col prossimo attraverso il dono totale di noi stessi che ci svuota del nostro io.

Non guardiamo tanto a ciò che dobbiamo perdere, ma a ciò che dobbiamo donare e accogliere in noi; lasciamo entrare nella nostra vita Dio e gli altri, per arricchirci del loro dono. Siamo stati creati da Dio per essere reciproco dono gli uni per gli altri, l'amore ci mette in donazione e opera il rinnegamento del nostro io.

Chi ama non vive per se stesso ma per Dio e per gli altri, non fa la sua volontà ma quella di Dio e, in tal modo, vive costantemente il vuoto di sé per accogliere in sé la pienezza dell'Amore.

Dio sia tutto per noi, viviamo di lui, per lui e non per noi stessi, in tal modo vivremo di conseguenza il nulla di noi, ma non un nulla negativo, ma un nulla d'amore come Gesù crocifisso e abbandonato che è giunto a sperimentare nell'abbandono la perdita di Dio stesso per donarlo a noi.

È questa la strada del rinnegamento di sé che nella via dell'Amore ci porta alla pienezza, attraverso lo svuotamento interiore di tutto ciò che in noi non è Dio e anche da Dio stesso, così come possiamo averlo sperimentato, per aprirci continuamente ai nuovi cieli dell'Amore, a cui egli vuole condurci, come Maria che, sotto la croce, ha perso il Figlio di Dio, l'ha offerto e donato, ed è diventata la Madre di tutto Cristo: Capo e corpo, la Madre della Chiesa.

sr. Nunziella

 

 

 

  

SLOGAN:             Vivere la pienezza dell'Amore nel vuoto di sé.

 

[1] San Giovanni della croce, Salita del Monte Carmelo I, 9,3, in Opere, Postulazione Generale dei carmelitani Scalzi, Roma 1979, p. 44.

[2] Cfr. Ibidem, p.51-52.

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