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Articolo scritto per la rivista Presbyteri

In un mondo che sembra voler cancellare i segni dell'assoluto e che dimentica spesso i valori dell'accoglienza, dell'ascolto, della gratuità, dell'amore è forse quanto mai urgente riscoprire il senso e il contributo della femminilità e in particolare della femminilità consacrata. Dove tutto tende all'efficienza, all'affermazione di sé, alla ricerca del benessere e del potere è difficile comprendere il senso del dono di sé, ma è pur vero che l'evoluzione della realtà sociale, soprattutto nei confronti della situazione della donna alla ricerca del suo ruolo, domanda oggi di maturare una nuova presa di coscienza del senso del rapporto uomo-donna, visto in chiave di uguaglianza nella perfetta distinzione. A mio avviso solo nel rispetto dell'unicità della vocazione antropologica fondamentale dell'uomo e della donna sarà possibile ripensare anche a una vita consacrata adeguata alle esigenze di oggi. Personalmente, in quanto donna e in quanto consacrata, ho trovato in Maria la risposta a questa sfida. La Vergine è a volte vista in chiave devozionistica o relegata nell'ambito della pietà popolare; la teologia medita sulla sua posizione e funzione nel mistero dell'incarnazione e della redenzione, non risolvendo sempre i vari quesiti relativi alla sua mediazione e alla sua specifica missione in seno alla Chiesa, tuttavia a me sembra che non si possa essere cristiani se non si è mariani. A me pare che in Maria è la spiegazione della vocazione dell'umanità: tutti, uomini e donne, siamo chiamati, in un certo senso, a trovare in lei e in comunione con lei la nostra capacità di amare e di rapportarci a Gesù, diventando per la Parola, che è Cristo, silenzio amante, accoglienza, possibilità per il Verbo di continuare in noi, in ciascuno di noi, la sua incarnazione. Il "femminile" riguarda tutti: uomini e donne. In quest'ottica, sento che si colloca il mio ruolo di donna consacrata nella Chiesa e nella società: Maria è una dimensione della mia persona, in comunione con lei posso "essere amore", là dove Dio mi colloca, contribuendo all'umanizzazione delle strutture sociali e dei rapporti interpersonali. Dopo essere stata in Canada a contatto con le istanze culturali di un mondo spesso critico nei riguardi della Chiesa perché maschilista, mi sono ritrovata a vivere l'avventura della fondazione di un nuovo Istituto religioso femminile, che non vuole consacrarsi a un'opera particolare, ma tende piuttosto ad essere un segno della presenza "mariana" della donna consacrata nella Chiesa. È importante che accanto al principio petrino la Chiesa scopra sempre più quello mariano; è urgente che la donna prenda il suo posto nella costruzione del corpo della Chiesa e della società, che in questo essa sia aiutata o ostacolata dagli stessi sacerdoti o vescovi, questo dipende dalla sensibilità di ciascuno, in ogni caso mi sembra che urgano delle donne autenticamente "cristiane" e delle religiose autenticamente "mariane" per ridare al mondo e alla Chiesa il calore e il sorriso, la vitalità e lo slancio necessari per una nuova evangelizzazione e una sempre rinnovata giovinezza. Se guardo alla mia esperienza non posso non riconoscere l'efficacia della proposta della scelta della vita consacrata per le giovani di oggi, se tale via è presentata attraverso la testimonianza viva di una comunità unita nel nome di Gesù.

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