Carissime e carissimi tutti,
nel riprendere la nostra meditazione sulla vocazione cristiana alla santità, mi sembra importante mettere a fuoco la scelta di Gesù crocifisso e abbandonato per affrontare e superare le inevitabili prove, le difficoltà e i dolori che quotidianamente si presentano nella nostra vita personale, comunitaria e sociale.
Solo nella passione e morte di Gesù l’enigma della sofferenza trova la sua spiegazione; solo Dio può trarre da tutto, dal dolore più atroce e anche dal male, un bene più grande.
La scelta del Crocifisso in ogni vocazione
Qualunque sia la nostra specifica vocazione, siamo tutti chiamati alla santità. L’amore scambievole ci rende capaci di instaurare rapporti di comunione fondati sulla presenza di Gesù in mezzo a noi: il Santo fra noi, che ci santifica insieme, illuminando il nostro cammino; non è però possibile progredire nella via della santità senza sperimentare sia la gioia di Cristo fra noi nella reciproca unità, sia il dolore delle prove comunitarie o personali, nelle quali incontriamo la presenza di Gesù crocifisso, che continua la sua passione in noi, bisognosi di salvezza e di redenzione.
Si impone a questo punto, se vogliamo imboccare con decisione la strada della santità, la necessità di fare una scelta profonda e consapevole di Gesù crocifisso e abbandonato, vivo e presente sia nelle piaghe della Chiesa e della società di oggi, sia nei nostri stessi limiti personali e nelle nostre infedeltà a lui. Se non vogliamo fermarci nel cammino della santità dobbiamo imparare a fare di ogni prova, personale e comunitaria, un passaggio pasquale, guardando la Chiesa e il mondo con gli occhi di Maria, che non ha lasciato solo Gesù, sul Calvario. Se in ogni dolore e in ogni disunità relazionale impariamo a riconoscere, con sguardo di fede, la presenza del Crocifisso che assume su di sé ogni sofferenza, se offriamo a lui ogni nostra pena, unendola alla sua passione, non tarderemo a sperimentare la gioia della comunione con Dio e con gli altri ritrovata sempre più profonda e più pura dopo ogni prova, e niente potrà fermarci. Se vogliamo avanzare nella via dell’Amore è, perciò, necessario fare e rinnovare continuamente la scelta di Gesù crocifisso nella nostra vita quotidiana.
Tra l’esperienza di Gesù risorto, presente là dove due o più sono uniti nel suo nome (cfr. Mt 18,20) e quella di Gesù crocifisso nascosto in ogni nostro dolore, dobbiamo saper preferire quest’ultima quando se ne presenta l’occasione, per essere certi del nostro amore per Gesù, perché è facile amarlo nella gioia della comunione reciproca, ma in tal caso potremmo correre il rischio di ricercare la gioia e non Gesù. Quando, invece, si ama qualcuno si desidera condividere tutto della persona amata: gioie e dolori, ma soprattutto le prove e le sofferenze; allo stesso modo, se amiamo veramente Gesù, dobbiamo imparare a ricercarlo dove ancora oggi continua la sua passione: in noi, nella Chiesa e nella società; una strada per imparare ad amarlo veramente, soprattutto all’inizio del nostro cammino di fede, è quella di allenarci a scegliere e preferire Gesù crocifisso e abbandonato ogni volta che si presenta a noi, sia nei piccoli dolori della nostra vita quotidiana, senza mai banalizzarli, sia nelle prove personali o comunitarie, sia nelle divisioni della Chiesa e dell’umanità.
Dio Amore si è manifestato pienamente nell’umanità del Crocifisso, nell’Uomo dei dolori, che ben conosce il patire (cfr. Is 53,3), sulla croce egli ha assunto su di sé tutti i peccati e le sofferenze degli uomini e delle donne di tutti i secoli, fino a sentirsi abbandonato dal Padre emettendo il suo grido straziante: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mc 15,34).
La scelta di Gesù crocifisso e abbandonato, fatta nelle sofferenze e nei sacrifici di ogni giorno, è un esercizio d’amore: può significare fare con amore un compito spiacevole, decidere di incontrare una persona con cui avvertiamo un rapporto di profondo disagio, tagliare una conversazione sconveniente…, ecc.
Non si tratta di scegliere la sofferenza in sé, saremmo dei masochisti, ma Gesù, che, per amore nostro, prende su di sé ogni nostro dolore e non ci lascia mai soli; la fede ci fa vedere la sua presenza in noi e comprendiamo che il grido dell’abbandono di Gesù in croce coincide con quello dell’alleluia del Risorto che ci ha strappato per sempre alla morte.
Solo così, nel cammino della santità, non saremo bloccati dalle prove della vita e dai nostri stessi limiti e peccati e sapremo ricominciare anche dopo ogni caduta, offrendo a Gesù anche il nostro dolore e il nostro pentimento.
Tutti siamo chiamati alla santità, al di là della diversità delle varie vocazioni, ma in qualunque strada o forma di vita, ciò che ci santifica è l’amore vissuto sia nella gioia, sia nel dolore, sperimentando cioè continuamente sia la gioia della festa nell’incontro con Gesù risorto nella bellezza della comunione vissuta, sia il dolore nell’incontro con Gesù crocifisso e abbandonato nelle varie prove e sofferenze personali, comunitarie e dell’intera umanità.
Verginità e matrimonio alla luce della scelta di Gesù crocifisso
Il cammino della vita è fatto per tutti di gioia e di dolore, in qualunque vocazione il Crocifisso è per noi fonte di Vita e di gioia vera.
Sposarsi o consacrarsi a Dio significa per tutti scegliere Gesù crocifisso e abbandonato in strade diverse e seguirlo anche nel buio e nella sofferenza del Calvario, che può sempre giungere nella vita di ognuno. L’Amore più grande nasce sempre dal dolore vissuto in comunione con Gesù Crocifisso e questo in qualunque vocazione.
Non ci si consacra, per esempio, a Dio per sperimentare la pienezza della gioia e della libertà, queste possono essere conseguenze e frutto di tale donazione, quel che conta è, però, l’amore sincero verso Gesù e non verso le sue consolazioni e i suoi doni; ciò vale anche per chi si sposa: al di là dell’incanto, a volte, del primo innamoramento, una persona sposata può incontrare nella sua vita tanto la gioia quanto la sofferenza, come chi si consacra, ma il dolore che arriva, se vissuto in Gesù e con Gesù, porta alla gioia. Il Crocifisso è la massina manifestazione dell’Amore.
Non si può cercare la gioia, che viene da Dio, escludendo l’esperienza del dolore. Eppure, la paura della sofferenza e della morte è, come dice san Paolo, la causa di tutti i mali e di tutti i peccati (cfr. Eb 2,15). Spesso ci attacchiamo ai beni di questo mondo, ricercando in essi una vana sicurezza: non potremo, infatti, portarli con noi nell’aldilà; ci attacchiamo agli affetti, alle persone care, quasi non dovessero mai morire, ma soprattutto ci attacchiamo al nostro io: vogliamo realizzarci, affermarci, comandare. Sono, a volte, dei tentativi disperati di sottrarci alla morte, non vogliamo morire e cerchiamo di escludere dalla nostra vita il mistero d’amore del Crocifisso. È spesso questa la condizione dell’umanità.
In questo contesto si colloca il segno della vita consacrata. Coloro che restano vergini per il Regno dei cieli vogliono, in fondo, dire a questa povera umanità, angosciata dalla paura della morte, che Gesù crocifisso l’ha vinta per sempre, egli è venuto a «liberare quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,15). La verginità, quale dono della propria vita a Cristo Signore è, in fondo, partecipazione al sacrificio di Gesù, alla sua morte d’amore, è strada di liberazione dalla paura della morte e del peccato, è segno della Vita che vince la morte.
Chi fa voto di castità, rinunziando a formarsi una famiglia, condivide la condizione della vita terrena di Gesù e di Maria, indicando, in un certo senso, nell’amore verginale dei loro cuori la meta da raggiungere per tutti, sposati e consacrati. Potremmo dire che, in qualche modo, le persone consacrate coi loro voti annunciano la risurrezione, la Vita che sgorga dalla rinunzia e dalla morte accolte con amore.
Scegliere di consacrarsi a Dio significa scegliere il Crocifisso povero, casto e obbediente e seguirlo nelle consolazioni e nelle prove, che possono giungere anche nella vita consacrata.
La povertà è rinunzia al possesso dei beni materiali in vista di quelli eterni, la castità è rinunzia al matrimonio, per vivere in pienezza la sponsalità verginale con Gesù, unico Sposo del cuore; l’obbedienza è rinunzia alla propria volontà per vivere il mistero di Cristo obbediente fino alla morte in croce.
Si comprende il valore della verginità consacrata tanto esaltata dallo stesso san Paolo, essa è stata vista spesso nella Chiesa in continuità col martirio: finita l’epoca dei martiri dei primi tempi della storia cristiana è subentrata la verginità consacrata: una sorta di “martirio bianco”, dono totale a Cristo Signore.
Non per niente la vita religiosa, in quanto chiamata di speciale consacrazione al seguito di Gesù povero, casto e obbediente, è segno della stessa santità della Chiesa. Gesù ha voluto nascere da una Madre vergine ed è rimasto vergine; sposati e non, nell’armonia della nuova creazione, tendiamo tutti alla santità, che è pienezza di amore verginale.
La scelta di Gesù crocifisso e abbandonato resta, allora, il fondamento di qualunque scelta di vita, perché solo amando lui, in ogni passaggio pasquale della nostra vita, possiamo crescere nell’amore. Sia nel matrimonio, che nella vita consacrata, quel che conta è il nostro amore per Gesù, la vocazione specifica è solo un mezzo che deve condurci alla santità e se il mezzo non è impiegato bene non raggiunge il suo fine. Il cammino della santità è la scelta di Dio rinnovata ogni giorno nelle piccole e grandi cose con fedeltà e umiltà.
Maria, vergine e madre, guidi sposati e consacrati nel sentiero della vita, insegnandoci la docilità allo Spirito Santo santificatore dei nostri cuori.
vostra sr. Nunziella
Slogan: Scegli Gesù in ogni dolore.

